Torino. Rivolte, occupazioni, resistenza alle espulsioni. Oltre il muro

Un’altra estate calda sul fronte delle espulsioni. Lo scorso anno gli accordi con la Libia per i respingimenti in mare hanno condannato migliaia di profughi delle guerre nel corno d’Africa ad atroci odissee tra le galere di Gheddafi e il deserto. La morte in agguato, la vita appesa ad un filo. Alla faccia delle convenzioni ONU, del diritto di asilo ed altre amenità come i “diritti umani”.

Quest’anno il governo Belusconi ha sottoscritto un accordo con l’Algeria e la Tunisia che consente espulsioni rapide e di massa verso i due paesi del nordafrica.

Il 12 luglio in un’intervista a “La Padania” Maroni aveva dichiarato: è “un passo meno eclatante dal punto di vista mediatico rispetto all’accordo con la Libia e tuttavia è ugualmente, e sottolineo ugualmente, importante”.

La prima conseguenza dell’accordo è stata la diramazione di un telegramma a tutte le prefetture perché provvedessero alle scorte in vista dell’espulsione dei tunisini e degli algerini rinchiusi nei CIE.

La notizia crea fermento nei CIE di Trapani, Milano, Gradisca, Roma.

A Torino per due settimane si susseguono rivolte, tentativi di evasione, braccia tagliate, proteste sul tetto. Dall’altro lato del muro gli antirazzisti fanno occupazioni, blocchi, un presidio permanente di solidarietà.

Mercoledì 14 luglio. A fuoco la sezione bianca

La deportazione tocca a tre “ospiti” del CIE di corso Brunelleschi, ma le tensioni latenti da giorni esplodono. Intorno alle 15 divampa la rivolta.

Alla fine la polizia porta via due “ospiti” su tre. Gli immigrati dentro riferiscono che uno esce pesto e sanguinante.

I prigionieri reagiscono spaccando suppellettili e dando fuoco ai materassi. Un’intera sezione del CIE, la “bianca”, è resa inagibile: a nulla valgono gli sforzi dei vigili del fuoco chiamati a spegnere l’incendio. Alcuni immigrati salgono sul tetto.

Intorno alle 17 davanti al CIE si raduna un presidio di una cinquantina di solidali, che battono sui pali, fischiano, urlano per oltre due ore, nonostante il temporale che si abbatte sulla zona. I ragazzi sul tetto si sbracciano per salutare.

Si ha notizia di vari feriti lasciati senza cure.

Un marocchino si taglia con le lamette le braccia e il corpo: 10 poliziotti lo pestano a sangue. Viene condotto in ospedale solo alle 21. Ai volontari dell’ambulanza viene imposto di non portarlo all’ospedale più vicino, il Martini di via Tofane, ma alle Molinette. Viene spiegato loro che si tratta di motivi di “ordine pubblico”. L’unico motivo di “ordine pubblico” è evitare la presenza degli antirazzisti. La notizia filtra ugualmente: la solidarietà è più forte dei trucchi della polizia. Si saprà poi che l’uomo, Samir, sedato in ospedale a Torino, si è risvegliato a Roma, al CIE di Ponte Galeria.

Gli immigrati pesti e bagnati vengono lasciati nel cortile sino alle 20, quando sono rinchiusi nella sezione femminile, quella viola, svuotata in fretta e furia. Non ricevono né cibo né acqua sino alle 21,30, quando – da sotto le porte – viene passato loro qualcosa da mangiare. “Ce l’hanno allungato come ai cani” dicono. Uno si è ustionato alle mani e ai piedi durante l’incendio della sezione: chiede aiuto ma nessuno lo ascolta.

Occupazione alla Croce Rossa

Un gruppo di antirazzisti della rete “10luglioAntirazzista” decide di occupare il cortile della Croce Rossa in via Bologna, consentendo ovviamente alle ambulanze ed alle auto di entrare e uscire.

Gli antirazzisti entrano nel cortile, aprono lo striscione “Torino è antirazzista” e chiedono inutilmente di parlare con un responsabile per avere spiegazioni sulle cure negate ai feriti nel CIE. Quelli della Croce Rossa, con l’imperturbabilità di chi gestisce un lager, chiamano la polizia.

Gli antirazzisti decidono di restare finché non siano garantite le cure ai reclusi del CIE. Dopo un po’ oltre alla digos arrivano anche quelli dell’antisommossa.

La digos inizialmente nega la presenza di feriti, poi l’ammette minimizzando, infine, dopo tre lunghe ore, annuncia che la guardia medica visiterà l’immigrato ustionato.

È l’una quando chiamano dal CIE per annunciare che finalmente è arrivato il medico e il ragazzo ferito è stato portato in infermeria. Il medico ne disporrà il ricovero in ospedale.

Nei due giorni successivi verranno deportati da Torino otto tunisini.

Sabato 17 luglio. Antirazzisti a Traffic

Alla Reggia di Venaria è la serata conclusiva del festival “Traffic”, un evento che attira decine di migliaia di persone. Il 17 è la serata dedicata all’Africa. Una trentina di compagni della rete “10luglioAntirazzista” volantinano agli spettatori. Intorno alle 23,30 la direzione artistica di Traffic da il via libera ad un intervento dal palco: due striscioni “Torino è antirazzista” e “Chiudere i CIE subito” vengono aperti. Un caldo applauso saluta gli antirazzisti e le parole di un esponente della Rete e di Marianne, una ragazza nigeriana.

Libertà! È il grido che si moltiplica per un lungo minuto tra la folla del festival.

Lunedì 19 luglio. Sul tetto del CIE

Sabri, un tunisino senza carte, sale sul tetto della sezione viola, quella dove erano stati trasferiti i ribelli della bianca, deciso a resistere sino a venerdì, quando gli sarebbero scaduti i sei mesi di trattenimento al CIE.

Un altro recluso si trova in isolamento in attesa dell’imminente deportazione.

Intorno alle 14 comincia a formarsi un presidio solidale davanti all’ingresso del CIE in via Mazzarello. Purtroppo l’immigrato destinato alla deportazione viene portato via dall’ingresso secondario di corso Brunelleschi.

Il presidio antirazzista continua in corso Brunelleschi. In serata, complici le percussioni della Torino Samba band, i solidali, che nel frattempo sono cresciuti di numero, si avvicinano al muro del CIE e legano ad un palo una fiaccola. La polizia blocca con due camionette il controviale di corso Brunelleschi.

Per oltre un’ora si susseguono battiture e slogan poi parte l’assemblea, che decide di sostenere la lotta di Sabri e degli altri che, come lui, si sono fatti quasi sei mesi e, se non vengono deportati subito, potrebbero riguadagnare la libertà tra giovedì e venerdì.

Si sceglie di fare un presidio permanente, rimanendo lì giorno e notte. In un batter d’occhio arrivano tavoli, sedie e persino un ombrellone gigante.

I reclusi si fanno sentire con battiture e grida: pare che uno abbia tentato senza successo di fuggire.

Martedì 20 luglio. Davanti al CIE, ricordando Carlo

Sabri, nonostante il caldo feroce, resiste sul tetto. Va avanti anche il presidio solidale davanti al muro del CIE, dove, tra giorno e notte, si avvicendano un centinaio di antirazzisti.

Il pranzo nella sezione dei ribelli viene consegnato solo alle 15. Intorno alle 17, dopo una veloce assemblea, una quindicina di persone si muove verso l’ingresso di via Mazzarello per consegnare acqua e the freddo, battendo i pali per farsi sentire dentro.

Uno striscione con la scritta “20 luglio 2001. Carlo assassinato dallo Stato” è appeso al presidio, per ricordare che quel giorno, nove anni prima, un carabiniere aveva sparato in faccia ad un ragazzo di 23 anni che manifestava contro i padroni del mondo.

In serata Torino Samba Band scatenata davanti al muro del CIE, poi assemblea.

Per giovedì sera viene lanciato un corteo intorno al CIE.

Mercoledì 21. Presidio e giri in centro

Un altro immigrato, Maher, in isolamento sin dal giorno precedente, viene portato via. Maher è il ragazzo che, durante la giornata contro i CIE del 10 luglio, aveva lanciato una pallina con dentro la medicina che la Croce Rossa gli aveva dato per curare l’asma, un ottimo farmaco, peccato che fosse scaduto da ben due anni!

Sabri continua a stare sul tetto, gli antirazzisti, oltre a mantenere il presidio giorno e notte, si muovono in città con volantinaggi nei mercati, per far conoscere una vicenda sulla quale grava il silenzio dei media. Nel pomeriggio un gruppo, aperto dalla Samba Band, fa un giro in centro, sostando a lungo davanti alla RAI.

Finalmente alcuni media si interessano alla vicenda. Il Manifesto gli dedica la prima pagina, La Stampa e Cronacaqui criminalizzano, Radio Popolare di Milano, Radio Onda Rossa a Roma, oltre alla torinese Blackout danno ampia copertura alla resistenza di Sabri, ormai giunta al terzo giorno.

Giovedì 22 luglio. Giù dal tetto

Sono arrivati alle sei del mattino, con i vigili del fuoco e gli uomini in armi. Sabri, viene circondato e si butta giù, sui sacconi messi sotto dai vigili/poliziotti. Si fa male ad una gamba ma non viene portato in ospedale, dove inutilmente lo cercheranno per ore gli antirazzisti. Sul suo destino cala il silenzio: nemmeno ai suoi avvocati è fornita alcuna indicazione. Solo il giorno successivo, quando Sabri chiama da Tunisi, sapremo che lo hanno portato via di corsa, dolorante, con le braccia e le gambe strette con fascette da elettricista. Poi via di corsa verso l’aeroporto.

In strada gli antirazzisti del presidio hanno bloccato due delle quattro corsie di via Mazzarello e l’ingresso posteriore di corso Brunelleschi. Si sono anche buscati un po’ di manganellate.

Più tardi alcuni antirazzisti si sono recati all’aeroporto di Caselle per informare dell’accaduto, per fare appello ai viaggiatori in partenza a mettersi in mezzo per fermare la deportazione.

A Milano e Roma vengono simbolicamente occupati consolato e ambasciata tunisini.

In serata intorno alle mura del CIE si è tenuto un corteo. Cinquecento persone hanno gridato slogan, battuto i pali ed assediato per oltre un’ora i due ingressi del Centro di detenzione.


Venerdì 23 luglio. Sabri, Maher, Samir

Sabri è stato tre giorni e tre notti sul tetto del CIE per non essere deportato in Tunisia, dove – diceva – non c’è niente. Niente lavoro, niente futuro.

Stava diventando un simbolo, Sabri, il tunisino pescato in mare quasi sei mesi fa, finito prima al CIE di Crotone per tre mesi e mezzo, poi, quando una delle tante sommosse aveva reso inagibile parte di quel Centro, era approdato in corso Brunelleschi.

Voleva ritrovare la sua vita. In Italia c’era già stato per sette anni, pescatore ad Ancona. In Tunisia era tornato per rivedere, dopo tanti anni, i suoi.

Una “vacanza” che gli è costata sei mesi di imprigionamento nei lager della bella Italia. Poi la deportazione.

Quando ha chiamato per salutare e ringraziare della solidarietà ha detto “sto qui un po’, poi torno”. Non ci sono muri che contengano la voglia di libertà.

Anche Maher chiama dalla Tunisia e dice che tornerà: i suoi sono poveri e per lui non c’è altra via.

Va meglio a Samir, il ragazzo che si era tagliato durante la rivolta del 14 luglio e si era ritrovato a Roma. Anche lui sale sul tetto del CIE, ingoia vetri. Venerdì 23, ultimo dei suoi 180 giorni, riguadagna la libertà.

La resistenza continua.

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Liberté, freedom, al hurria. Libertà. Una giornata contro i CIE

Cronaca della giornata antirazzista del 10 luglio. Il corteo, il concerto, gli interventi, le mille anime del movimento antirazzista torinese in una giornata di solidarietà ai reclusi della prigione per migranti di corso Brunelleschi.

Da sempre nei CIE – ieri CPT – soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi nel cibo sono pane quotidiano. Le lotte degli immigrati rinchiusi nei CIE hanno segnato l’ultimo decennio. Una lunga resistenza, spesso disperata, fatta di braccia tagliate, bocche cucite, lamette o pile ingoiate. Qualcuno ha preferito la morte alla deportazione e l’ha fatta finita. In tanti si sono ribellati, bruciando materassi, distruggendo suppellettili, salendo sul tetto. Un po’ ovunque ci sono stati tentativi di fuga.

Chi arriva in Italia ha negli occhi il deserto, le galere libiche, il mare, i pescherecci che passano senza fermarsi, i militari che vanno a caccia di uomini. Hanno negli occhi il ricordo dei tanti lasciati per strada, morti senza tomba né umana pietà. Pochi di loro fanno “fortuna”: per i più c’è lavoro nero, salari infimi, paura, discriminazione. Chi viene pescato senza carte in regola finisce nei CIE e di lì via, indietro, ancora verso l’inferno.

Finire in un CIE è sin troppo facile.

Raccontano che nei CIE stanno i delinquenti, ma mentono sapendo di mentire. Nei CIE rinchiudono chi ha perso il lavoro e, quindi, anche le carte, oppure chi un lavoro a posto con i libretti non l’ha mai avuto e quindi nemmeno le carte in regola.

Il diritto legale di vivere nel nostro paese è riservato solo a chi ha un contratto di lavoro, a chi accetta di lavorare come qui nessuno più era obbligato a fare. Oggi i migranti, con permesso o in nero, sono i nuovi schiavi di quest’Europa fatta di confini e filo spinato. Gente la cui vita vale poco o nulla.

Dallo scorso agosto, quando entrò in vigore il pacchetto sicurezza, un insieme di provvedimenti disciplinari volti alla repressione dell’immigrazione clandestina e dell’opposizione politica e sociale, le proteste nei CIE, inizialmente a cadenza quotidiana, si sono moltiplicate.

Purtroppo l’impegno degli antirazzisti non è stato sufficiente a rompere il muro del silenzio che circonda quanto avviene in questi lager della democrazia, in queste prigioni per uomini e donne “colpevoli” di essere nati poveri.

Un gruppo di antirazzisti torinesi ha lanciato l’idea di costruire un’iniziativa contro i CIE, che sapesse raccogliere un consenso ampio, portando davanti alle mura del lager di corso Brunelleschi tanta gente che forse non c’era mai stata.

Si è quindi lavorato per dar vita ad giornata in cui, superando le diversità e facendo delle differenze un laboratorio nel quale sperimentare percorsi di lotta comune, fosse possibile che le tante anime dell’opposizione politica e sociale si incontrassero per costruire una grande giornata di lotta.

È nato il comitato “10 luglio Antirazzista” che ha saputo catalizzare centri sociali e case occupate, sindacati di base e organizzazioni di migranti, gruppi politici e associazioni GLBT.

Una scommessa non facile, una scommessa vinta.

Nonostante il caldo infernale circa un migliaio di persone ha dato vita al corteo di sabato 10 luglio. Partito da piazza Sabotino, nel cuore del popolare quartiere S. Paolo, è cresciuto durante il percorso. Numerose le soste per informare, parlare con il quartiere, raccontare le storie dei prigionieri di corso Brunelleschi. In corso Peschiera si è sostato a lungo davanti alla ex clinica S. Paolo, occupata da profughi e rifugiati del corno d’Africa, parte dei quali ancora resistono nell’area detta “casa bianca”. Poi giù per le strade del quartiere, con soste al mercato ed ai principali incroci. Lo striscione di apertura aveva la scritta “Torino è antirazzista”.

La Torino Samba Band ha accompagnato la giornata attirando l’attenzione dei numerosi passanti.

Oltre alle tante facce del movimento antirazzista torinese, c’era tanta, tanta gente venuta a sostenere quanto scritto sull’altro striscione di testa “Chiudere i CIE subito!”. Buona la presenza di immigrati dei collettivi e comitati antirazzisti che hanno contribuito a costruire la giornata.

Il corteo si è concluso davanti al CIE di corso Brunelleschi, dove le camionette di polizia e carabinieri erano attestate lungo il muro del Centro.

L’iniziativa è proseguita per tutta la serata con musica dal vivo, interventi, testimonianze, telefonate con i reclusi del CIE, che hanno ringraziato per la presenza solidale.

Per l’intera giornata radio Blackout ha coperto l’evento trasmettendolo in streaming.

In apertura Marco Rovelli, autore di “Lager Italiani” e di Servi”, prima di proporre alcune canzoni del suo repertorio, è intervenuto sui CIE e sul meccanismo infernale che stritola la vita dei migranti.

Un compagno di Trieste ha raccontato l’esperienza di lotta contro il CIE di Gradisca d’Isonzo, uno di Milano ha fatto un breve excursus delle lotte contro quello di via Corelli ed ha lungamente narrato la lotta dei rom di via Triboniano. Un esponente del Collettivo immigrati autorganizzati ha sostenuto con forza la necessità di dare continuità alla lotta, moltiplicando le iniziative comuni. L’esigenza di far crescere i contatti, mantenendo viva una rete di solidarietà attiva è stata condivisa da tanti e nei prossimi mesi non mancherà certo di dare i suoi frutti.

Poi molti altri hanno raccontato storie, fatto proposte, lanciato saluti solidali ai prigionieri oltre il filo spinato.

La testimonianza registrata di un pestaggio nel centro di via Corelli a Milano ha reso ancor più doloroso l’incombere del muro sorvegliato da uomini in armi.

Gli stessi che pestano gli immigrati nei CIE, gli stessi che, poco dopo la mezzanotte, hanno cominciato a pressare gli antirazzisti, che hanno comunque concluso il programma nonostante l’agitazione crescente tra le forze del disordine statale.

Alcuni hanno gettato oltre il muro messaggi infilati in palline da tennis: un ragazzo marocchino ha scritto un saluto per un amico.

Alcune palline sono tornate indietro con le risposte dei reclusi: un tunisino, Thomas, ha scritto “Grazie, siamo con voi, state sempre dalla nostra parte”.

Un immigrato asmatico ha lanciato la scatola delle medicine che la Croce Rossa gli ha dato per curare la sua malattia: un ottimo farmaco. Peccato che fosse scaduto da oltre due anni!

Il messaggio più breve, che ha trovato eco ai due lati del muro, diceva: “liberté, merci”. Liberté, freedom, al hurria. Libertà.

In uno dei tanti interventi una compagna ha detto “Quel muro, il muro del CIE, è una vergogna. Non per chi vi è rinchiuso, ma per tutti noi. Dobbiamo porvi fine, tirandolo giù, chiudendo i lager della democrazia.”

 

Comitato “10 luglio antirazzista”

Per informazioni e contatti:

no-cie@autistici.org

www.no-cie.noblogs.org Continue reading

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Assemblea contro i C.I.E.

Venerdì 2 luglio ore 21 – presso radio Blackout che per l’occasione mette a disposizione i propri spazi – assemblea cittadina sui CIE in vista del corteo del 10.

Sabato 3 luglio dalle 16 – ai giardini (ir)reali – corso s. Maurizio angolo via Rossini, grigliata benefit per finanziare l’iniziativa.

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Antirazzisti 10 Luglio

 

… Tutto e cominciato con la paura dello straniero, dell’immigrato che invade le nostre strade portando delinquenza, degrado e insicurezza. Un sentimento diffuso ad arte dalla stampa e dalle televisioni, che vede uniti i politici di destra e di sinistra in una guerra ai poveri che ha il solo scopo di coprirele falle di un sistema in crisi reintronducendo nuove forme di schiavismo ed emarginazione.
Al culmine di questa deriva razzista delle moderne democrazie, le politiche della fortezza Europea prevedono le chiusure delle frontire, l’espulsione sistematica degli immigrati irregolari e l’istituzione di centri che in molti non esitano più a chiamare Lager.

Mentre il presidente del consiglio dichiara che l’Italia non è un paese multietnico e il ministro dell’interno dice che bisogna essere cattivi con i clandestini, la polizia si trova investita di poteri eccezionali che con sempre più drammatica frequenza si trasformano in pestaggi e retate, ricatti, stupri,umiliazioni, carcere e disperazione per chi è giunto in questa terra abbagliato da falsi miraggi e costretto da condizioni di vita sempre più difficili nel sud del mondo.

Isolati dal resto della società e circondati da un muro di silenzio e indifferenza generale, i centri di identificazione ed espulsione (ex C.p.t. recentemente ribattezzati C.i.e.) sono tuttavia divenuti negli ultimi tempi, anche a causa dell’inasprimento della detenzione previsto dall’ultimo pacchetto sicurezza, luoghi di lotta e resistenza dalle molte forme.

Fortunatamente, mentre dentro si susseguono proteste e scioperi della fame, evasione e rivolte, c’è ancora chi davanti a queste oscenità solidarizza con gli oppressi e cerca di diffondere una cultura e una pratica ispirata ai principi di libertà e uguaglianza.

 

Per questo sentiamo la necessità di unire ancor più le forze e di organizzare, parallelamente ai percorsi già esistenti intrapresi dalle varie realtà, una giornata di mobilitazione contro i C.i.e. che possa essere un momento di convergenza delle molteplici ed eterogenee lotte ed esperienze antirazziste.

 

Tutti i soggetti e gli individui interessati a definire e costruire questa giornata sono invitati a partecipare ad una discussione collettiva che si terrà Lunedì 14 Giugno presso la sede di radio Blackout (Via Cecchi 21/A) alle ore 18:30.


CHIUDERE I C.I.E. ORA

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10 luglio. Adesioni al corteo

10luglioAntirazzista

 

Hanno dato sinora la loro adesione:

Collettivo immigrati autorganizzati

Collettivo Gabelli

Federazione Anarchica Torinese – FAI

CSOA Askatasuna

CSOA Gabrio

Torino Squatter

Circolo di cultura GLBT Maurice

Sinistra Critica

Confederazione Unitaria di Base – Federazione di Torino

Unione Sindacale di Base – Federazione di Torino

No Tav – Autogestione – Torino

No Tav Torino

Comitato antifascista “18 giugno”

Comitato pace di Robassomero

Cast – Collettivo Anarchico Studentesco Torinese

Laboratorio Anarchico “Perlanera” – Alessandria

FAI del Monferrato

CSA Lacandona – Valenza

Circolo Vighetti Meyer – Rifondazione Comunista – Bussoleno

CanaveseRosso – Collettivo Resistente

Gruppo L’Erba – Casatenovo

Circolo Zabriskie Point – Novara

Partito Comunista dei lavoratori

Gruppo Emergency – Torino

Coordinamento "Non solo Asilo" per i Rifugiati

Convergenza delle culture

PdCI – Torino

Resistenza Viola – Piemonte

Per info, contatti, adesioni:

Cinzia:

3408572178; cinziatrentanelli@yahoo.it

Maurizio:

3492703029; mura_maurizio@hotmail.com

Maria:

3386594361;noracism@inventati.org

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dietro le sbarre vite violate

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10 luglio antirazzista


Ciao a tutti, grazie in anticipo dell’attenzione.

"Sela legge è di tal natura da richiederti di essere un agente
dell’ingiustiziaverso gli altri, allora, dico, infrangila.
Che la tua vita facciafrizione e arresti la macchina".

Henry David Thoreau

 

Inoltriamo questoappello per invitarvi ad aderire alla mobilitazione che prenderà forma nella giornata del 10 Luglio 2010 al fine di sensibilizzare la popolazione sulla necessità di chiudere i C.I.E.

Chiediamo allesoggettività sinceramente solidali con gli immigrati di prendere unaposizione netta e definitiva in favore della chiusura di queste prigioni per disoccupati stranieri, strutture che ormai in molti non esitano a definire lager, dove nell’indifferenza generale si consumano tragedie e soprusi di ogni sorta.

L’idea nasce all’interno di un gruppo di giovani torinesi esta prendendo vita grazie all’apporto di alcune realtà antirazziste torinesi: centri sociali e case occupate (C.S.O.A. Gabrio, C.S.O.A. Askatasuna, Torino Squatters…), associazioni di migranti (Rete Migranti Torino), circoli culturali e politici (Circolo Maurice, F.A.I.).

Un grande corteo comunicativo e pacifico partirà da p.zza Sabotino per concludersi davanti al C.I.E. di c.so Brunelleschi. Proprio lì, grazie al contributo di alcuni gruppi musicali di richiamo (Fucktotum, Paranza del Geco, Nadya, Marco Rovelli_libertAria, Extra), daremo il via a una grande kermesse musicale.

L’esibizione deigruppi sul palco sarà inframezzata da una serie di interventi sulle condizioni di vita nei C.I.E., sui respingimenti in mare, sulla criminalizzazionedella clandestinità, nella speranza di sensibilizzare una parte della cittadinanza a queste tematiche restituendo di fatto visibilitàa un luogo che sembrascomparso dall’immaginario torinese.


Stiamo tentando di coinvolgere nella realizzazione dell’evento tutte le associazioni, collettivi, sindacati, individualità, che ritengono di spendersi per la costruzione di un percorso il cui orizzonte sia la liquidazione di questa ennesima aberrazione. Ci piace pensare che nel dare realtà questa giornata possano nascere complicità e collaborazioni sinora inedite,che questo pezzo di strada fatto insieme getti le basi, nel tempo, per sradicare la sonnolenza diffusa che fa da cornice al dramma quotidiano degli immigrati: fatto di C.I.E. e di carceri, di ricatti sul lavoro e di una crescente stigmatizzazione sociale.

Con lapresente vi invitiamo a partecipare attivamente all’organizzazione dell’evento(ché ancora molte cose restano da fare) mettendo a disposizione mezzi materiali e non, intelligenza organizzativa, contenuti solidalie antirazzisti di cui riempirequesta giornata di mobilitazione.

Vi invitiamo tutti a partecipare alle riunioni che si tengono ogni lunedì alle 18,30 presso la sede di Radio Blackout, via Antonio Cecchi 21/a.

Torino, 10giugno 2010

 10LuglioAntirazzista

Per
contattie adesioni:
Maurizio:
349.2703029; mura_maurizio@hotmail.com

Cinzia:
340.8572178;cinziatrentanelli@yahoo.it

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10 luglio antirazzista

 


							
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Cos’è un volo delle deportazioni

Un video ed un
testo che stanno circolando in rete,

e che ci possono aiutare a dare una
risposta a questa domanda.

 

 

http://www.youtube.com/watch?v=0xSYNOUM6Xo
 
 
Le
persone portate come cadaveri

Ho avuto lo choc della
mia vita quando abbiamo cominciato il nostro viaggio [dal centro di
detenzione] di Tinsley House all’aeroporto. Siamo restati nel bus dalle
ore 11 alle 18 senza poter uscire. Nel bus non abbiamo potuto muoverci
né uscire per 7 ore, poiché ogni detenuto era scortato da due agenti di
sicurezza.

Gli agenti di sicurezza prendevano una pausa ogni 30
minuti ed erano rimpiazzati da altri agenti, mentre noi, restavamo
seduti, stretti come sardine in scatola. Le mie gambe si sono gonfiate e
sembravano pesanti come mai mi era successo.

Più le ore avanzavano,
più ogni ora era per noi un’ora di lotta. Mi sentivo sempre più debole,
come se il mio sangue avesse smesso di circolare. Non eravamo affatto
preparati a ciò che stava per succedere su quel volo charter.

Ovunque
posassi il mio sguardo, non c’era che punizione gratuita.

C’erano
molte donne tristi e molti bambini nei loro passeggini. I bambini
piangevano con veemenza vedendo come i loro genitori venivano trattati.
Su questo volo c’erano molte donne con neonati e i minori separati dai
loro genitori avevano la tristezza sul viso.

Siamo partiti da un
altro aeroporto, Gatwick. Siamo atterrati a Dublino. Là, molti altri
sono saliti sul volo charter. I detenuti di Dublino sono stati condotti
all’aereoporto nei furgoni penitenziari e avevano le manette ai polsi.
Molti erano stati percossi abbondantemente prima di essere imbarcati.

Già
nella stessa Gran Bretagna, un minore era stato picchiato quando aveva
cominciato a scrivere il suo messaggio «Ho lasciato la Nigeria quando
avevo 3 anni, non ho più alcuna famiglia in Nigeria» L’agente di
sicurezza al suo fianco gli diceva che non serviva a niente scrivere e
che si doveva calmare. Tutt’a un tratto, dalla folla sono partite delle
grida che dicevano che dovevano smettere di picchiarlo in quel modo.
Hanno gridato così forte che i medici sono accorsi ad occuparsi del
ragazzo.

Siamo partiti da Dublino per la Spagna, ed è là che è stato
più orribile: uomini e donne ammanettati alle mani e ai piedi. I due
agenti di sicurezza ai miei lati hanno realizzato che le mie gambe
bruciavano. Quello alla mia sinistra mi ha chiesto se avevo problemi
alle gambe e gli ho detto che avevo le vene collassate. Hanno chiamato
immediatamente la squadra medica.

Questi hanno detto che non era
previsto che fossi espulso su quel volo. L’agente di sicurezza ha di
nuovo chiesto cosa si potesse fare nell’immediato. I medici hanno
risposto che bisognava autorizzarmi a camminare o a trovare un posto
dove mettere le gambe in alto. Riuscivo appena a muovere le gambe. E’
stata un’altra causa di sofferenza ed esasperazione.

Quando ripenso a
come siamo stati trattati su questo charter, uno spettro arriva a
svuotarmi il cuore. Non mi è mai stato dato un rapporto medico, benché
l’avessi chiesto mille volte. Tutti gli ospedali che ho visitato mi
domandavano questo rapporto che io non avevo.

Eravamo spaventati in
questo aereo, ero spaventato dal gran numero di gente che non voleva
tornare nel proprio paese.

La mia esperienza: attacchi di panico che
mi assalivano quando vedevo come gli agenti picchiavano tutti quelli che
cercavano di contrastare i loro piani.

Già all’aeroporto, tanta
gente è stata maltrattata, in Spagna i detenuti sono stati insultati, la
polizia li aggrediva verbalmente e li picchiava.

Quando sono
rivenuto dai bagni, ho visto molti di quei detenuti che erano saliti in
Spagna e avevano le manette.

Ho provato a domandare alla polizia
perché stavano così, e allora i poliziotti hanno cominciato a picchiarmi
fino a quando i poliziotti inglesi non li hanno fermati, a causa del
mio stato di salute.

C’erano molti bambini che piangevano a causa di
queste violenze e queste grida nell’aereo. L’insieme di questi
atteggiamenti inattesi mi ha ricordato le mie esperienze di tortura.

Tra
i passeggeri venuti dalla Gran Bretagna, molti gridavano per dire che
dovevano prima passare davanti a un tribunale, altri per dire che
avevano moglie e figli qui in Gran Bretagna. Molti si domandavano cosa
sarebbe successo ai loro beni che avevano lasciato.

La mia grande
sorpresa è stata di non atterrare in un aeroporto nigeriano normale, ma
di atterrare su un terreno chiamato NACO AIRPORT (scalo merci) e che i
nostri bagagli erano stati posati lì senza alcuna custodia e molti
mancavano.

 

 

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Mostra sui C.I.E.

Pannello #1

Pannello #2

Pannello #3

Pannello #4

Pannello #5

Pannello #6

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